domenica 26 aprile 2009

L'Olio d'oliva non solo per friggere

L'Olio di Oliva Tradizionale è il più adatto alla cottura per la sua ottima resistenza alle alte temperature. La frittura avvolge gli alimenti creando una crosticina croccante e gustosa. Così i cibi non perdono liquidi e conservano una consistenza gradevole e polposa.

Dolce e delicato, l'Olio di Oliva si ottiene unendo all'olio di oliva raffinato un'alta percentuale di olio extra vergine di oliva.

Ideale in cucina, dove rispetta il sapore dei cibi, si esprime al meglio anche in tavola perché si sposa perfettamente con i profumi e gli aromi della cucina mediterranea.
Ma oltre ad essere squisito in cucina l' Olio di Oliva Extravergine è da sempre il migliore amico della bellezza della pelle.

mercoledì 12 marzo 2008

La bagna cauda

La bagna cauda è un piatto tradizionale dell'enogastronomia piemontese, tipico principalmente delle zone del Monferrato e delle province di Torino e Cuneo.La sua origine è antica e pare che il significato del nome debba rinvenirsi nella sua traduzione letterale e cioè salsa (l'equivalente di bagna) calda (cauda), anche se alcuni lo collegano al nome di monsù Coda, il biellese che si dice l'avesse inventata. Pare però che l'origine più corretta sia la prima, anche perchè è caratteristica di questo piatto dover essere consumato caldissimo, per non alterarne il gusto, la consistenza e il profumo.

Questo è un piatto della tradizione contadina, che raccoglieva le famiglie attorno alla tavola, per gustare tutti insieme questa salsa realizzata con tre ingredienti principali: aglio, olio e acciughe. Le popolazioni delle Langhe e del Monferrato nei secoli passati importavano infatti dalla Liguria attraverso la "via del sale" il prezioso olio d'oliva, le acciughe ed anche il baccalà. In alternativa all'olio di oliva, quando questo non era ancora molto diffuso, si usava l'olio di noci. Ancora oggi per mantenere questa nota aromatica dell'antico piatto tipico, alcuni aggiungono alla salsa dei gherigli di noce tritati.

E' una salsa che tradizionalmente accompagnava il periodo della vendemmia e veniva quindi consumata prevalentemente in autunno ed inverno. Sulla sua nascita si narrano diverse leggende, una delle quali vuole che tale bagna venisse data ai vendemmiatori per toglier loro quel senso di odore dolce, fin troppo nauseante, tipico dell'uva pigiata.Dopo le fatiche della giornata i contadini e le loro famiglie si sedevano attorno al tavolo, con al centro la scionfetta (cioè una stufetta alla brace), sopra cui stava il dianet (ovvero un recipiente di terracotta). La salsa rimaneva lì dentro al caldo senza bollire ed ogni commensale intingeva al suo interno ogni tipo di ortaggio.Oggi ci sono dei contenitori in terracotta detti Fojòt che servono proprio per la degustazione della bagna cauda. Sono infatti costituiti da una ciotola in cui si versa la salsa, sotto la quale c'è un fornellino per mantenerla calda.

Questa gustosa salsa dal forte sapore di aglio e acciughe va infatti degustata caldissima assieme a tutte le verdure dell'orto, per renderle più vive e saporite. Un tempo si utilizzavano soprattutto i cardi gobbi provenienti dal Monferrato, i topinabur ed i peperoni, cotti o crudi. Ma c'erano e ci sono anche molte altre verdure di stagione che si possono usare per degustare questo piatto tipico dell'enogastronomia piemontese, e cioè cipolle cotte al forno, foglie di cavolo crude,verze, patate lesse e barbabietole cotte al vapore. A volte, nell'ultima porzione della salsa che rimaneva nel recipiente di terracotta si rompevano alcune uova, altre volte vi si intingevano pane e crostini. Normalmente la bagna cauda viene accompagnata da un vino rosso corposo.

Le ricette che si trovano in giro sono davvero molto diverse tra loro, poichè le versioni del piatto si sono diversificate un pò per assecondare i diversi gusti, un pò per esigenze di reperibilità delle materie prime.Una delle versioni più comuni prevede di tritare l'aglio e immergerlo per almeno un'ora nel latte, per facilitarne la digestione. Bisogna poi metterlo in un tegame di cotto assieme alle acciughe già diliscate. Il tutto va poi coperto da abbondante olio, fatto poi cuocere a fiamma moderata, evitando che l'olio arrivi a bollire e facendo in modo che l'aglio non prenda colore.La ricetta prevede poi di mescolare continuamente la salsa con un cucchiaio di legno, fino allo scioglimento delle acciughe che lentamente si ridurranno in poltiglia. Dopo una cottura di dieci minuti si dovrà aggiungere il burro, per rendere tutto più cremoso, anche se c'è chi - più recentemente - al posto del burro ha deciso di utilizzare panna da cucina. Altri dieci minuti di cottura e la salsa è pronta.

Va servita in tavola caldissima con diverse verdure di contorno, per potere assaporare questo piatto della tradizione enogastronomica piemontese in tutte le sue prelibate sfumature di sapore.

La riscoperta dei prodotti enogastronomici tipici

Siamo troppo abituati a mangiare ed abbiamo dimenticato l’importanza di assaporare ciò che mettiamo sulle nostre tavole.
Spesso la fretta, il poco tempo, la pigrizia o anche lo scarso spirito di ricerca ci portano a cucinare sempre gli stessi piatti, con i medesimi ingredienti utilizzati a rotazione, e ci inducono a presentare i soliti e banali accostamenti di sapore.

Un po’ come scherzosamente il lungometraggio animato Ratatouille ci vorrebbe insegnare, avremmo bisogno di riscoprire la capacità di apprezzare veramente un piatto per tutte le sensazioni sensoriali che riesce a comunicarci e per l’alta qualità dei suoi componenti. Questo non significa necessariamente utilizzare ingredienti dai costi proibitivi, ma significa saper scegliere al meglio ciò che ci offre il mercato.

Il nostro paese è pieno di prodotti enogastronomici di altissimo livello, che si differenziano da regione a regione, e che conservano nelle loro radici storiche il marchio di una cultura e di una tradizione secolare.
Ogni regione ha la sua peculiarità e il suo modo unico di accostare sapori e profumi, facendone scaturire un risultato stimolante e unico.

Ciascuna zona si è specializzata in determinate produzioni e il ripetersi continuo di quelle lavorazioni ha portato nel tempo ad ottenere risultati di eccellenza.
La conformazione geografica di un paese, le influenze storiche che ha subito e il tipo di economia che vi si è sviluppata rientrano tra le variabili più importanti che hanno portato allo sviluppo delle differenti tipicità enogastronomiche.
Oggi grazie ai negozi e agli e-commerce di prodotti tipici abbiamo la possibilità di trovare in vendita numerosi specialità delle diverse regioni italiane.
Possiamo quindi cimentarci ai fornelli per poter provare a realizzare le ricette della tradizione locale così come le ricette nuove - ideate da noi - con gli stessi ingredienti, sull’onda di brillanti intuizioni culinarie.


Si aprono i confini quindi, e i prodotti tipici regionali si fanno conoscere al grande pubblico, per essere apprezzati e valorizzati in tutto il mondo, senza mai perdere la loro genuina unicità.
Ed ecco che possiamo scoprire – ad esempio - il gusto di un pesto ai pistacchi di Bronte. Un pistacchio speciale quello di questo comune siciliano, che è definito “l’oro verde”, ed è conosciuto ed apprezzato in tutti i mercati europei e giapponesi per i frutti di alto pregio, dall’intensa colorazione verde e per il loro gusto dolce ed estremamente aromatico.
Possiamo altrimenti concederci il lusso di assaporare il gusto particolare del cioccolato di Modica, prodotto tipico della città ragusana, portato nel 700 in Italia dagli spagnoli.
L’arte della sua realizzazione è stata tramandata di padre in figlio fino ai giorni nostri e questo ci ha permesso di gustare ancora appieno tutto il fascino di un cibo antico.
La lista potrebbe essere lunga e va di pari passo con le infinite possibilità di affascinare il nostro palato con sapori nuovi e qualitativamente elevati.
http://www.cliccaegusta.com/

La bagna cauda

La bagna cauda è un piatto tradizionale dell'enogastronomia piemontese, tipico principalmente delle zone del Monferrato e delle province di Torino e Cuneo.La sua origine è antica e pare che il significato del nome debba rinvenirsi nella sua traduzione letterale e cioè salsa (l'equivalente di bagna) calda (cauda), anche se alcuni lo collegano al nome di monsù Coda, il biellese che si dice l'avesse inventata. Pare però che l'origine più corretta sia la prima, anche perchè è caratteristica di questo piatto dover essere consumato caldissimo, per non alterarne il gusto, la consistenza e il profumo.

Questo è un piatto della tradizione contadina, che raccoglieva le famiglie attorno alla tavola, per gustare tutti insieme questa salsa realizzata con tre ingredienti principali: aglio, olio e acciughe. Le popolazioni delle Langhe e del Monferrato nei secoli passati importavano infatti dalla Liguria attraverso la "via del sale" il prezioso olio d'oliva, le acciughe ed anche il baccalà. In alternativa all'olio di oliva, quando questo non era ancora molto diffuso, si usava l'olio di noci. Ancora oggi per mantenere questa nota aromatica dell'antico piatto tipico, alcuni aggiungono alla salsa dei gherigli di noce tritati.

E' una salsa che tradizionalmente accompagnava il periodo della vendemmia e veniva quindi consumata prevalentemente in autunno ed inverno. Sulla sua nascita si narrano diverse leggende, una delle quali vuole che tale bagna venisse data ai vendemmiatori per toglier loro quel senso di odore dolce, fin troppo nauseante, tipico dell'uva pigiata.Dopo le fatiche della giornata i contadini e le loro famiglie si sedevano attorno al tavolo, con al centro la scionfetta (cioè una stufetta alla brace), sopra cui stava il dianet (ovvero un recipiente di terracotta). La salsa rimaneva lì dentro al caldo senza bollire ed ogni commensale intingeva al suo interno ogni tipo di ortaggio.Oggi ci sono dei contenitori in terracotta detti Fojòt che servono proprio per la degustazione della bagna cauda. Sono infatti costituiti da una ciotola in cui si versa la salsa, sotto la quale c'è un fornellino per mantenerla calda.

Questa gustosa salsa dal forte sapore di aglio e acciughe va infatti degustata caldissima assieme a tutte le verdure dell'orto, per renderle più vive e saporite. Un tempo si utilizzavano soprattutto i cardi gobbi provenienti dal Monferrato, i topinabur ed i peperoni, cotti o crudi. Ma c'erano e ci sono anche molte altre verdure di stagione che si possono usare per degustare questo piatto tipico dell'enogastronomia piemontese, e cioè cipolle cotte al forno, foglie di cavolo crude,verze, patate lesse e barbabietole cotte al vapore.

A volte, nell'ultima porzione della salsa che rimaneva nel recipiente di terracotta si rompevano alcune uova, altre volte vi si intingevano pane e crostini. Normalmente la bagna cauda viene accompagnata da un vino rosso corposo.
Le ricette che si trovano in giro sono davvero molto diverse tra loro, poichè le versioni del piatto si sono diversificate un pò per assecondare i diversi gusti, un pò per esigenze di reperibilità delle materie prime.Una delle versioni più comuni prevede di tritare l'aglio e immergerlo per almeno un'ora nel latte, per facilitarne la digestione. Bisogna poi metterlo in un tegame di cotto assieme alle acciughe già diliscate. Il tutto va poi coperto da abbondante olio, fatto poi cuocere a fiamma moderata, evitando che l'olio arrivi a bollire e facendo in modo che l'aglio non prenda colore.La ricetta prevede poi di mescolare continuamente la salsa con un cucchiaio di legno, fino allo scioglimento delle acciughe che lentamente si ridurranno in poltiglia.

Dopo una cottura di dieci minuti si dovrà aggiungere il burro, per rendere tutto più cremoso, anche se c'è chi - più recentemente - al posto del burro ha deciso di utilizzare panna da cucina. Altri dieci minuti di cottura e la salsa è pronta. Va servita in tavola caldissima con diverse verdure di contorno, per potere assaporare questo piatto della tradizione enogastronomica piemontese in tutte le sue prelibate sfumature di sapore.

martedì 11 marzo 2008

Il vino novello: il vino preferito dai giovani

Il vino novello ama essere consumato in abbinamento con i prodotti tipici del territorio, in particolare salumi e formaggi. Un decreto ministeriale ha stabilito che a partire dalla mezzanotte del 6 novembre il cosiddetto vino da bere giovane puo' essere distribuito nei vari punti vendita. La data anticipa di qualche settimana la commercializzazione del diretto concorrente, il Beaujolais nouveau francese, che potra' essere gustato oltralpe solo a partire dal terzo giovedi' di novembre. Proprio in Francia peraltro il vino novello e' stato prodotto per la prima volta, negli anni Cinquanta, grazie all'intuizione del ricercatore Flanzy. La fermentazione di queste uve avviene infatti con gli acini interi, in modo che solo una parte degli zuccheri si trasformi in alcool. Inoltre tale fenomeno non avviene all'aria, come al solito; in assenza di ossigeno sono gli enzimi contenuti nel mosto a far si' che il processo compia il suo corso. Il risultato e' un gusto amabile e fruttato che trova nei piu' giovani i maggiori estimatori, probabilmente grazie anche alla bassa gradazione. Secondo la Coldiretti la produzione 2007 e' stata di circa sedici milioni di bottiglie, in lieve calo rispetto al totale dell'anno precedente per colpa di una vendemmia un po' avara, dovuta all'inclemenza del clima. Migliora tuttavia la qualita' e, di conseguenza, aumentano anche i prezzi. Le bottiglie commercializzate sono comunque tante, soprattutto se si tiene conto che per mantenere inalterate le caratteristiche del prodotto se ne consiglia il consumo entro sei mesi. La produzione italiana, che ha nel Veneto e nella Toscana le regioni leader, e' caratterizzata soprattutto da novelli monovitigno e utilizza un'ampia gamma di vitigni autoctoni (Dolcetto, Cannonau, Sangiovese). Tra i piu' utilizzati vanno pero' annoverati i vari Merlot, Cabernet, Barbera e Montepulciano. Molto rari, ma gustosi, i novelli bianchi. Considerato sino a poco tempo fa una sorta di non vino, il novello italiano ha saputo conquistare ne
Autore: mironi aldo
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Chianti e Chianti Classico a confronto

E’ opinione diffusa tra i consumatori di vino meno esperti che un vino DOCG “Chianti” e un vino DOCG “Chianti Classico” siano la stessa cosa. Niente di più sbagliato! Il Consorzio del Chianti Classico impone ai suoi produttori regole molto più severe inserite nel proprio disciplinare rispetto ai produttori di vino “Chianti”, analizziamo le differenze: Territorio: Il vino Chianti Classico viene prodotto esclusivamente nei confini del territorio omonimo, mentre i produttori di vino Chianti possono farlo anche al di fuori di tali confini fino a comprendere zone delle province toscane di Firenze, Siena, Arezzo, Pisa, Pistoia e Prato. Uvaggio: Mentre per il vino Chianti Classico è previsto il solo utilizzo di uve nere, con un base minima di Sangiovese (l’uva tipica del territorio del Chianti) pari all’80%, per il vino Chianti è possibile anche l’utilizzo di uve bianche come Malvasia e Trebbiano in aggiunta alla base minima di Sangiovese che in questo caso è del 75%. Standard di qualità: Senza soffermarsi sui dettagli è importante sapere che il disciplinare del Consorzio del Chianti Classico è decisamente più rigido e restrittivo su tutti gli aspetti che possono influire sulla qualità del vino, a cominciare, per esempio, dalla “resa massima di uva per ettaro di vigneto” che per il Chianti Classico non può superare i 75 quintali per ettaro, mentre ai produttori di vino Chianti è consentita anche una resa di 90 quintali per ettaro. In definitiva la politica del Consorzio del Chianti Classico (soprattutto negli ultimi anni) è quella di salvaguardare la qualità del vino a discapito della quantità, tutto questo anche a causa del crescente numero di vini di ottima qualità nel resto del mondo. Inoltre vi è un ulteriore scopo come quello di salvaguardare gli aspetti di qualità specifici del territorio, che rendono distintivi i prodotti del del Gallo Nero. In questi termini oltre al Vino Chianti Classico possiamo ricordare il Vin Santo o l’ Olio.
Autore: Montefioralle
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domenica 27 gennaio 2008

Carciofini sott'olio

I primi di Maggio escono i carciofini selvatici, piccoli e buonissimi

La prima cosa da fare è raccoglierli, ovviamente

Poi gli vanno tolte le spine e vanno inseriti per 3-4 minuti nell'aceto di vino in ebollizione.

Poi vanno scolati e stesi su una tovaglia larga in attesa che diventino freddi.

A questo punto sono pronti per essere inseriti nei vasetti con l'olio (l'olio di semi se volete tenervi leggeri).

Potete inserire:

- aglio (uno/due spicchi)
- una foglia di alloro
- una foglia di menta (se vi piace)

Dopo 5 giorni potete mangiarli

Durano fino ad un anno, se coperti bene di olio